Proprio come la musica: l’arte figurativa non deve essere com-presa. “Capire” è un tranello. L’arte (anche quella pittorica) deve essere semmai accolta, percepita con disposizione ad una con-divisione, ad una convibrazione, con la volontà di renderla lente d’ingrandimento posta sulla propria emotività, sul proprio vissuto (per imparare, per accettare, per migliorare).
Entrare nei quadri di Nevio Zanardi, mettersi in gioco accet-tandone l’assenza di rassicuranti e riconoscibili punti d’appoggio, è un’esperienza potente ma per nulla semplice. Diffidiamo però di ciò che non chiede impegno, e solleviamo con gioia e curiosità il sipario sulla sua nuova sfida. La sequenza pullula di fantasmi verdiani, anche se i personaggi sono ritratti nella loro dimensione emotiva (proprio come fa il compositore, utilizzando lo strumento del canto), e sono dunque individuabili otto forma di trepidazione, di pulsioni traslitterate fra le pieghe dei colori.
Nella percezione dell’incantevole mistero che è il mondo sensi-bile, ciò che muta è solo l’apparente individualità dei recettori. Ma nella sostanza, il colore emette vibrazioni al pari di un violoncello o di un pianoforte. E le vibrazioni imbandite su una tela, così come le note di un concerto, sono in grado di scuotere i sensi con un’intensità totalizzante, carnale. Le tele di Zanardi esprimono con forza questo loro essere par-titure di colore, al di là del facile nesso che si può accampare data la doppia professione dell’artista, che è musicista e pittore. Anche le venti riletture immaginifiche che tracciano un puzzle di eroi e tragedie usciti dal cilindro abbacinante del Verdi gio-vanile e della prima maturità, testimoniano la certezza che sta alla base del lavoro di Zanardi: il colore è la melodia, le masse giustapposte e contrapposte sono l’armonia, così come la sedi-mentazione dei colori, la loro sovrapposizione che propone, per minimi indizi, una vita cromatica ulteriore e nascosta.
Armonia sono anche le sfumature, che regalano profondità ed eleganza, che offrono emozioni disparate a seconda della pressione del pennello sulla tela, come l’archetto quando preme sulla corda. Il ritmo infine è scandito nel segno, puntelli nel mare cromatico delle tele di Nevio Zanardi, firme dissimulate (cinque tratti, come le lettere che compongono il nome dell’autore, sette tratti, come il suo cognome, tre, come l’anelito alla perfezione), boe simboliche che guidano l’osservatore. Il melodramma, contenitore popolare per eccellenza, con le sue forze primarie messe in gioco, ancor più nel Verdi risorgimentale, viene qui come filtrato da ogni orpello narrativo, precetto teatrale, da ogni necessità strutturale del libretto e della partitura. Alzato il sipario sui quadri verdiani di Zanardi, resta l’essenza emoti-va di questi colossi lirici, riverberata attraverso la percettibilità sensitiva dell’autore.
Un magma fecondo, talvolta perturbante, tracimante di vibra-zioni, che ci piace pensare corrisponda alla rappresentazione cromatica del cuore di Verdi, colto nell’atto del creare, un istante prima di decidere, di mediare, di organizzare in note e in azione scenica le sue pulsioni.
Giorgio De Martino