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Più che “capricci”, Sivori preferiva chiamarli “studi”. E fu forse per accomodare l’impressione della dipendenza paganiniana con l’approfondimento e l’intensità che il suo autore vi cercava che i 12 “capricci” di Camillo Sivori furono pubblicati – nel 1880 presso l’editore Leduc – con una doppia intestazione: Studi-Capricci. Secondo la testimonianza dell’epistolario alla famiglia e l’intimo punto di vista che vi si riflette, queste pagine di musica, così strutturate e complesse, così intense, sono il risultato di un lento, graduale approfondimento.

Nel suo secolo, che una carriera e un’esistenza per l’epoca straordinariamente lunghe gli permisero di vivere dal Concilio di Vienna fin quasi alle soglie del Novecento, Camillo Sivori ebbe unanime approvazione: da parte degli esperti e dei colleghi musicisti così come da parte del pubblico – quello colto, quello aristocratico, quello popolare. È difficile trovare città europee, teatri e sale da musica, in cui non suonò. Percorse il mondo: più e più volte l’Europa e poi le Americhe addirittura, da Nord a Sud. Affermatosi come virtuoso dalle capacità strabilianti e cresciuto all’ombra della fama di “allievo di Paganini” – anzi del “solo” allievo, come Paganini volle specificare – Camillo Sivori divenne molto presto un attento interprete dei classici, da Haydn a Mozart a Beethoven, ai “classici contemporanei”,  Mendelssohn, Verdi, Berlioz.

Sivori era legato alla sua città natale, Genova, dove sempre vissero la sua famiglia di origine, i fratelli, le loro famiglie e la loro discendenza. A Genova ebbe la sua prima “scuola” – e fu la scuola di Paganini – ma poi andò in giro per il mondo, a Parigi soprattutto, che era allora la grande metropoli della cultura internazionale, per cogliere soddisfazioni, successi, la fama e i risultati che il suo talento e la sua applicazione meritarono.

Per l’intensità dei suoi sentimenti verso la patria, la famiglia, il re Sivori fu uomo dell’Ottocento. Ma fu – anche più – uomo  straordinariamente moderno. I progressi dell’industria e dei trasporti, la velocità dei treni e dei piroscafi lo riempivano di soddisfazione. Gli piaceva pensare che un uomo di qualità, se avesse lavorato senza risparmio sul proprio talento, affinando le proprie capacità, sarebbe stato “fabbro del proprio destino”. Lo scriveva, lo credeva, lo professava apertamente.

I 12 Studi-Capricci op. 25 sono il prodotto delle estati che Camillo Sivori prese l’abitudine di trascorrere a Maison-Laffitte nella seconda metà degli anni Settanta. A quell’ora Sivori è ormai, specie per l’epoca, quasi anziano. Da qualche tempo, inoltre, non è più Genova, ma Parigi la sua città “domestica”.

Nel sottofondo da cui gli Studi-Capricci prendono forma, inoltre, il virtuosismo ha una parte meno importante della ricerca; le difficoltà che ci sono si affrontano e si superano, perché il limite va cercato e infine va spostato: un po’ oltre. Sempre un po’ più oltre.

Ritrovo quello stesso clima nei quadri di Nevio Zanardi. Degli Studi-Capricci di Sivori ritrovo l’intensità e la dilatazione della coscienza, l’approfondimento e la rigososa – e pur sempre gioiosa – libertà con cui ci si getta in un’esperienza nuova. Quella disposizione d’animo, per dire altrimenti, che li fece nascere ed esistere e che trapela nelle lettere che Sivori inviò alla famiglia mentre li componeva.

Proprio come, a ogni ascolto, i 12 Studi-Capricci di Sivori si “capiscono” un po’ di più, così la pittura  di Nevio Zanardi prima introduce, poi suscita, quindi spiega. Ma anche quando spiega – così come le pagine di  Sivori – lo fa in maniera “aperta”. Lo fa lanciando un indifferibile invito alla riscoperta che speriamo sia colto, nella circostanza di questo duecentenario, per gettare nuova luce su un grande uomo e artista oggi troppo poco conosciuto.

Stefano Termanini
Eredi Sivori