A Palazzo Tursi, nella sala dedicata alla musica, sono custoditi due violini. Uno, il Cannone, è il mitico strumento di Paganini, costruito nel 1743 da quel genio sregolatezza che fu Giuseppe Guarneri detto “del Gesù”: un violino di rara potenza e, insieme, di stupefacente dolcezza. L’altro è una “copia” del Cannone costruita nel 1834 dal liutaio francese Jean Baptiste Vuillaume cui Paganini si era rivolto perché mettesse a posto il suo Guarneri dopo un piccolo incidente. Vuillaume confezionò la copia, la cedette a Paganini e questi la girò al suo allievo Camillo Sivori. Sivori, alla sua morte, nel 1894, donò il suo strumento al Comune e così i due “gemelli” si sono ricongiunti.
Di Sivori ricorre quest’anno il bicentenario della nascita. Ed è una buona occasione per ricordare un artista genovese che nell’Ottocento ha ricoperto un ruolo non marginale nel panorama musicale europeo.
Violinista, compositore, è stato l’unico allievo ufficiale di Paganini che ha anche scritto per lui diverse composizioni. Consolidata la tecnica, già fra il 1827 e il 1828 compì una prima tournée a Parigi e a Londra facendosi applaudire per il talento strumentale. Ebbe in quel periodo occasione di suonare con un altro enfant prodige, Franz Liszt. I due si incontrarono più volte: nel 1838, ad esempio il grande pianista ungherese arrivò a Genova e venne ospitato a Palazzo De Mari dove si esibì in un concerto cui partecipò, appunto, Sivori.
La carriera dell’artista genovese fu intensa e articolata, divisa fra periodi trascorsi nella sua città (è tra l’altro per alcuni anni primo violino al Carlo Felice) e lunghe straordinarie tournée nelle quali non solo eseguiva musica propria, ma portò al successo grandi capolavori altrui, come, ad esempio, lo splendido Concerto in mi minore di Mendelssohn da lui presentato a Londra. Ma la sua “curiosità” musicale lo spinse anche a lavorare nella musica da camera affrontando il repertorio quartettistico.
E se il suo Maestro si era “limitato” a stupire l’Europa, Sivori, fra il 1846 e il 1850, compì pure una appassionante tournée in America, sia del sud che del nord, da Rio de Janeiro a New York.
Approfittando del bicentenario di Sivori, Nevio Zanardi aggiunge alla sua personalissima galleria di musicisti “tradotti” su tela anche l’illustre allievo paganiniano. Una galleria, va detto, sempre più lunga e sempre più affascinante: Mahler, Prokof’ev, Musorgskij, Verdi, Paganini, Hindemith. Artisti diversi che hanno stimolato l’estro creativo di Zanardi sollecitandone l’opera pittorica.
Violoncellista, direttore d’orchestra, appassionato didatta per una vita, Nevio Zanardi costituisce ormai da decenni anche una importante presenza nell’ambito pittorico.
Una presenza assolutamente originale che fonde insieme il suo essere musicista e pittore, facendo della musica la musa ispiratrice delle tele. Non si tratta, tuttavia, di una trasposizione dettata da un intento descrittivo. Siamo lontani dall’idea di una “pittura a programma” sulla falsariga della “musica a programma”. Tipo “poema sinfonico”. Siamo nell’ambito di quel che sosteneva Mahler a proposito della musica sinfonica: “Non c’è musica moderna, cominciando da Beethoven che non abbia un programma interno. Ma nessuna musica è valida se all’inizio bisogna avvertire l’ascoltatore delle esperienze che vi sono contenute, con la conseguenza di dirgli anche che cosa dovrà provare”.
Il “modello”, se proprio se ne vuole trovare uno, è, caso mai, Schumann la cui musica scaturiva spesso da una suggestione letteraria che era però “privata”, apparteneva alla sensibilità dell’autore.
Zanardi, dunque, ascolta, studia un autore, le sue partiture, traduce entro di sé le sensazioni sonore in sollecitazioni visive e queste le fissa su tela, una volta spenta la musica e chiuse le partiture. Su tela, dunque, finiscono le emozioni del pittore-musicista che le trasmette con il pudore di chi non vuole imporre nulla, ma, semplicemente, “comunicare” agli altri.
Pittura, allora, semplicemente “emozionale”?
Assolutamente no. Zanardi è andato maturando in questi decenni una tecnica pittorica sempre più solida che si basa su una ricerca attenta dei particolari. Costruisce i colori, li seleziona e li amalgama cercando continuamente nuove soluzioni così come un musicista ricerca attraverso le combinazioni dei suoni nuovi esiti armonici o timbrici. Lavora sui disegni, inventa forme, sperimenta. Il colore per lui è la melodia, il segno grafico il ritmo, la sedimentazione e la sovrapposizione dei colori danno l’armonia.
Questo lavoro di continua ricerca traspare evidente nei quadri dedicati a Camillo Sivori. 23 tele che rileggono varie opere dell’artista genovese, dai 12 Capricci op. 25 a “La Genoise”, dalle “Folies Espagnoles” alle fantasie operistiche su “Un ballo in maschera” e su “Il trovatore” fino alla delicata “Mira la bianca luna”.
Rispetto ai cicli pittorici precedenti, sembra che qui Zanardi abbia voluto approfondire il tasto del lirismo puro, ottenuto attraverso le velature, la ricerca di colori caldi, raffinati. Se il rosso rimane il suo colore di riferimento (non poteva non esserci nella “Fantasia dal Trovatore”), si impone anche il colore giallo in passato assai poco usato dal nostro artista. Il Capriccio n.2 emerge proprio per un giallo chiaro di estrema raffinatezza. Ancor più colpisce e affascina il Capriccio n.4: una distesa di giallo con varie sfumature, tratti che si coagulano in diverse “materie” e un uso della velatura discreto e sorprendentemente efficace. Zanardi usa la velatura come il vibrato sul suo violoncello: dà sostanza al colore-suono lo rende vivo e palpitante.
Ma nell’ambito del lirismo non si può non segnalare “Mira la bianca luna” uno dei quadri più belli e suggestivi della raccolta. Originalissimo nel segno, nell’accostamento dei colori, con quel biancore che attraversa la tela in verticale spalancando uno spiraglio di luce straordinario.
Altrove la pittura si fa più materica, aggressiva, nervosa. Non solo per il ricorso a colori più violenti (il rosso, il viola, il nero), ma anche per il segno incisivo che sembra (e qui si sottolinea la libertà interpretativa lasciata al visitatore) qua e là suggerire immagini più concrete: come nel Capriccio n.10 che a chi scrive dà l’impressione di più entità contrapposte, quasi una battaglia su più piani che si perde in uno spiraglio di luce all’orizzonte.
Da sottolineare infine il rapporto formale che tende a instaurarsi fra la partitura musicale e il quadro. Nel dittico ispirato alla Fantasia su “Un ballo in maschera” Zanardi sembra voler giocare sulla variazione dei temi musicali attraverso minute rielaborazioni dei colori che danno vita a piccole entità sparse sull’ampia tela. Nelle “Folies Espagnoles” la follia suggerisce invece una continua contrapposizione fra elementi diversi che conferiscono al quadro un’idea di movimento, di energia.
Ma tornando ai rapporti fra Sivori e Paganini può essere interessante, in conclusione, ricordare cosa l’allievo scrisse del suo maestro: “Egli fu probabilmente il peggior insegnante di violino che sia mai vissuto. Era brusco e arcigno nei suoi appunti quando mostravo qualche mancanza nel suonare quegli studi che egli mi dava per impratichirmi […] Il suo metodo di insegnamento consisteva soprattutto nell’andare su e giù per la stanza con un sorriso di derisione sul volto […]
Allorchè avevo finito mi si avvicinava colla stessa smorfia di derisione sul viso e rimaneva silenzioso per qualche istante e quindi domandandomi se per caso credevo di aver suonato lo studio nel modo in cui mi era stato mostrato. Un tremolante no era la mia risposta. E perché no? Era la replica. Dopo alcuni attimi di silenzio, timidamente insinuavo che non potevo suonare come lui perché non ne avevo l’abilità. L’abilità non è richiesta, concludeva, tutto ciò che è richiesto è perseveranza e applicazione!”
Roberto Iovino